McLuhan  nel suo studio con i suoi libri

McLuhan, oggi il mezzo siamo noi

Il profeta della "rivoluzione comunicativa", trent'anni dopo . Il futuro che aveva descritto è diventato il nostro presente

Massimiliano Panarari
20.12.2010
Trent’anni fa ci lasciava Herbert Marshall McLuhan (1911-1980), di cui l’anno prossimo si celebrerà il centenario della nascita. Una «doppietta» di ricorrenze che lo Iulm di Milano (l’ateneo specializzato nelle discipline della comunicazione) coglie, con un grande convegno in programma oggi e domani, per fare un bilancio dell’influenza avuta dal geniale e irregolare studioso canadese sulla cultura della società dell’informazione.
.
Non sarebbe possibile, infatti, pensare la contemporaneità senza la «rivoluzione comunicativa» e il suo impatto straordinario - sociale, economico, epistemologico - su ogni ambito della nostra esistenza. Bene, di questo cambiamento profondo McLuhan fu un indagatore preveggente e una sorta di - discusso - profeta.
,
Di formazione critico e studioso di retorica e di letteratura inglese, nemico delle barriere tra i saperi (cosa che gli procurò parecchie diffidenze), ha concepito per primo gli effetti che i mass media e le forme di comunicazione producono (indipendentemente dai contenuti veicolati) sull’immaginario e il comportamento degli individui; una tesi racchiusa nel celeberrimo slogan (uno dei tanti di suo conio che sono entrati via via nel linguaggio quotidiano) «il mezzo è il messaggio». Ed è arrivato, sempre prima degli altri, a vedere nelle tecnologie una sorta di «protesi» e «espansione» del corpo e della «carne» umana.
.
Un’idea straordinariamente attuale e contemporanea, che McLuhan applicava alla televisione (un medium non innovatore, con una funzione consolatoria e di «massaggio» della psiche), ma che può essere tranquillamente, e ancor più a ragione, trasferita al computer e a Internet e a tutto quel mondo di frontiera che opera sull’interazione tra corpo e tecnologie di ultimissima generazione; la ragione per cui da più parti, e sempre di più, si tende a considerarlo come un anticipatore della Società delle reti e persino del «post-umano» (e sicuramente dell’ecologia dei media).
.
E, come non bastasse, a lui si deve anche una delle espressioni più gettonate (e fondamentali) della nostra epoca, quella di «villaggio globale», il neologismo che fa la sua comparsa nel 1964, nel libro Gli strumenti del comunicare (Understanding Media. The Extensions of Man), per venire poi approfondito nel volume del ’68 War and Peace in the Global Village, come pure la famosa distinzione tra media «caldi» (radio e fotografia) e «freddi» (la conversazione, il telefono, il cinema, la tv).
.
Concetti inediti che esprimeva mediante un «linguaggio oracolare», pieno di paradossi, e all’insegna di un «andamento del ragionamento circolare e ossessivo» (come lo ha definito lo storico della comunicazione Peppino Ortoleva). Insomma, l’«epoca elettronica» da lui indagata è, davvero, il debutto dell’età digitale, quella in cui la nostra esistenza cominciava a venire modificata radicalmente (e senza via di ritorno) dall’interazione con le nuove tipologie di mass media a disposizione dopo la fine dei cicli storici della civiltà della scrittura e della stampa (che aveva interpretato in un altro dei suoi testi essenziali, La galassia Gutenberg, del 1962).
.
Creatore della massmediologia, McLuhan divenne anche uno dei primi, e più travolgenti, intellettuali mediatici della neonata società dello spettacolo. E venne baciato da una impressionante celebrità, al punto da interpretare se stesso in una notissima scena del film di Woody Allen Io e Annie (1977), in cui, in coda al botteghino di un cinema, rimbrotta un ragazzo che cerca di impressionare la sua accompagnatrice citandolo, e gli fa osservare, senza tanti complimenti, di non aver capito nulla delle sue teorie.
.
O, ancora, tanto da ispirare il personaggio del professore Brian O’Blivion di Videodrome, l’allucinato e straordinario film di David Cronenberg (che frequentò i suoi corsi all’università di Toronto), e da meritare nel 1969 una gigantesca intervista sulla rivista «per soli uomini» Playboy.
.
Un figlio del suo tempo, dunque, capace di comprendere molto meglio degli altri che quello sarebbe stato anche il futuro e il tempo a venire per l’umanità intera, definitivamente entrata nell’età elettronica. E un «umanista anti-umanista».
.
Un po’ determinista certo, ma portatore anche di una visione olistica che auspicava l’avvento di un mondo globale in cui tutti quanti ci saremmo dovuti mettere culturalmente al passo dei mass media, le nuove rivoluzionarie estensioni della nostra sensibilità.