“Capitalismo delle Foreste”

froiatti
10.12.2010
Foto - Una manifestazione contro la deforestazione

Quello della salvaguardia delle foreste è stato uno dei temi più controversi dibattuti alla conferenza sul clima di Cancun, chiusa nella notte con una bozza di accordo contenente la creazione di un fondo per sostenere i paesi poveri nella lotta ai cambiamenti climatici. Se tutti sono d’accordo sull’importanza di salvare i polmoni tropicali molto si litiga sulle modalità. La soluzione cui si lavora da tempo è il REDD +, il protocollo sulla lotta alla deforestazione, che a Cancun sembrava cosa fatta.
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Il suo destino, tuttavia, è tutt’altro che definito, nonostante la promessa sulla carta, sia quella di dare vita a un gioco vincente per tutti. REDD, acronimo di Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation (Riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale) è uno schema che prevede di pagare gli stati affinché conservino le foreste che si trovano sul loro territorio.
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Il taglio degli alberi, per fare spazio a piantagioni industriali e coltivazioni estensive provoca ogni anno circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra, più di quelle causate dall’intero sistema dei trasporti mondiale. Da qui la proposta, avanzata nel 2005 da Papua Nuova Guinea e Costa Rica per conto della Coalition for Rainforest Nations: dare vita a un vero e proprio mercato sulla falsariga di quello delle quote di CO2 in vigore nell’Unione Europea.
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A comprare sarebbero i paesi e le aziende più inquinanti a vendere gli stati tropicali che spenderebbero i soldi per la salvaguardia delle foreste. Il meccanismo non è mai stato recepito in un’intesa internazionale vincolante, ed è di questo che si è discusso a Cancun. Un sistema denominato REDD+ che va oltre l’idea iniziale di pura conversazione e include anche progetti di gestione e sfruttamento sostenibile delle foreste. Come debba essere attuato concretamente, è materia di scontro.
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Nei giorni scorsi alcune migliaia di attivisti e membri di associazioni come La Via Campesina e Friends of the Earth hanno protestato per le vie della città messicana che ospita il vertice Onu, issando drappi contro il “capitalismo delle foreste”.
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Secondo molte ong ambientaliste, REDD più che una soluzione al problema del cambiamento climatico rischia di essere una scappatoia per i grandi inquinatori che potrebbero continuare ad avvelenare l’atmosfera comprandosi l’indulgenza sotto forma di ettari di alberi. Ma anche un modo per privare popolazioni, già povere, della loro primaria fonte di sostentamento.
Dalle foreste dipendono oltre 1 miliardo di persone in tutto il mondo. Uno dei punti più controversi è proprio quello che riguarda i finanziamenti dello schema REDD.
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Alcuni governi, come quelli della Norvegia, hanno già siglato accordi bilaterali volontari (in questo caso con Guyana e Indonesia), la Banca Mondiale ha lanciato nel 2007 la Forest Carbon Partnership Facility per aiutare i paesi a prepararsi all’avvento di REDD. Il programma REDD delle Nazioni Unite ha approvato nove progetti pilota in altrettanti paesi, per un budget complessivo di oltre 37 milioni di dollari.
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Ma dalla vendita di “crediti forestali” secondo l’Onu, si potrebbe generare un mercato che tocca i 30 miliardi di dollari all’anno. Il punto, secondo un rapporto di Friends of the Earth (scarica qui il rapporto in inglese) che ha analizzato i progetti sperimentali già avviati, è che a decidere di scommettere sullo schema REDD è “un’insieme di attori diversi, dai trader delle quote di emissione, alle ong, dalle multinazionali delle piantagioni, alle società petrolifere intenzionate a dare una mano di vernice verde alle proprie attività”.
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La Shell, gigante petrolifero, ha già investito, insieme al colosso russo del gas Gazprom, in uno schema REDD in Indonesia, alcune banche come Bank of America e Merryl Lynch e l’australiana Macquarie hanno acquistato crediti. Il miliardario George Soros ha sposato la causa, scrivendo a Barack Obama e proponendo di introdurre una tassa sui biglietti aerei per alimentare un fondo globale per le foreste.
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Basterebbero 10 millioni di dollari all’anno per invertire la tendenza e bloccare le emissioni derivanti dalla perdita di vegetazione tropicale, sostiene Soros che si dice pronto ad “assumersi il rischio del pioniere” pur di lanciare un segnale positivo e trascinare altri magnati nell’avventura.
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Il pericolo è che il ricco piatto di REDD finisca per ingolosie anche il crimine organizzato “Il potenziale per attività illecite è ampio” avverte Peter Younger, specialista dell’Interpol sui crimini ambientali. “E il nascente mercato dei crediti forestali ha già attirato l’attenzione”.

Il presidente della Bolivia Evo Morales, si è espresso duramente contro l’ipotesi di permettere ai privati di comprare la salvezza delle foreste: “si tratta la madre terra come una merce” ha tuonato.
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Ma secondo Eric Bettelheim, amministratore delegato di Forest Landscape Development,una società che investe in prodotti che hanno valore nel mercato delle emissioni, trasformare la natura in una risorsa negoziabile è cruciale per proteggerla. “Tutti coloro che riflettono razionalmente sanno che il problema del riscaldamento globale non sarà mai risolto senza la partecipazione del business e dei mercati” ha affermato Bettlheim “Progress i saranno fatti soltanto riconoscendo che i crediti forestali dei paesi in via di sviluppo sono un’ottima valuta nel sistema di scambio delle quote di CO2″.
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Ma la partita più complessa in tutto il sistema REDD è quella di garantire che il denaro sborsato per tutelare le foreste venga distribuito tra tutti coloro che vivono di quella importante risorsa: “Ci sono molti paesi che stanno approvando leggi e procedure per avviare il mercato dei crediti forestali, ma come saranno distribuiti questi soldi alle comunità locali? Chi ne beneficierà” si chiede Stewart Maginnis dell’International Union for Conservation of Nature.
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La paura che i soldi finiscano nelle tasche di élite non sempre adamantine è forte. Il timore che a nativi, pastori, piccoli coltivatori tocchi di pagare ancora una volta il prezzo di decisioni prese altrove è perfino più forte.
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Il progetto Guaraqueçaba, nel Brasile sudorientale, finanziato da General Motors, Chevron. Texaco e American Electric Power, avviato dieci anni fa per proteggere la foresta ha limitato gli spostamenti degli abitanti dell’aerea, ai quali, secondo il rapporto di Friends of the Earth, è stato impedito di usare il legno della foresta per usi tradizionali, alcuni sono stati minacciati mentre raccoglievano il cibo, molti sono finiti a ingrossare le fila dei disperati nei bassifondi delle città vicine.
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In Kenya gli Ogiek hanno sofferto per le ferite inflitte alla foresta Mau e ora sono stati cacciati perché il governo vuole riparare ai danni, e ripiantare gli alberi. Gli Ogiek, però non sanno dove andare. Non lo sa neppure Daryanto, padre di famiglia della provincia di Jambi a Sumatra: “un giorno è arrivato un rappresentante della PT Reiki (società costituita da un gruppo indonesiano, la britannica Royal Society for the Protection of Birds e BirdLife International ndr) e ci ha detto di smettere di coltivare la terra perché doveva essere conservata. Ma questa è la mia vita, dove andrò se mi cacciano?” ha dichiarato l’uomo a Panos.
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Daryanto come altri contadini coltiva terra strappata alla foresta, che è giusto tutelare. Ma chi tutela i diritti di Daryanto e dei milioni senza voce come lui? Una domanda che difficilmente troverà risposta.