16.12. 2010

Due di narrativa, tre di saggistica, un giallo, un noir e una ristampa. E ancora: un’inattesa riscoperta e un gustoso Meridiano. Ogni anno, in Italia, vengono pubblicati circa 60.000 libri. E il 2010, in questo senso, non si è smentito. Nella messe di volumi che grandi, piccoli e piccolissimi editori stampano a ritmo continuo e per 365 giorni l’anno, proviamo allora a segnalare dieci libri che – si spera – resteranno negli annali e soprattutto nella memoria di chi li ha letti.
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Partiamo da un outsider, Paolo Sorrentino. Il suo debutto letterario, Hanno tutti ragione, ha diviso la critica ma ha conquistato il pubblico, arrivando persino nella cinquina del premio Strega. Successo meritato: la storia del cantante neomelodico Tony Pagoda è, a suo modo, un unicum, almeno alle nostre latitudini. Un libro denso, ironico e a tratti caustico, che ha il coraggio di non fare il verso alla solita narrativa ombelicale italiana. Le prime 200 pagine meritano 9; le ultime 100 arrivano alla sufficienza. In ogni caso, la sentenza è già scritta: Pagoda – anello nel mignolo a parte – è il ritratto del vero intellettuale postmoderno. E il romanzo di cui è protagonista è certamente uno dei migliori dell’anno, sicuramente il migliore, insieme a quello di Pennacchi, della cinquina arrivata al Ninfeo di Villa Giulia.
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Restiamo nella narrativa, e facciamo il nome di un autore pressoché sconosciuto al pubblico nostrano. Si chiama David Albahari, è uno scrittore serbo e in Italia è pubblicato da Zandonai. Ludwig, di cui abbiamo avuto modo di parlare qualche giorno fa, è uno straordinario apologo sull’odio, con protagonisti due scrittori. Un romanzo stringato, breve ma molto intenso, in grado di scorticare la storia controversa di un’amicizia fino a svelare lo stato, triste e pietoso, di un rancore atavico e insopprimibile.
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Impossibile non farsi un giro tra i classici. Qualche mese fa, Einaudi ha mandato in libreria una nuova e più accurata traduzione del capolavoro di Jaroslav Haŝek: Il buon soldato Sc’vèik, che, dopo la cura di Giuseppe Dierna, si intitola più propriamente Le vicende del bravo soldato Sc’vèik. L’edizione è di quelle di pregio, pubblicata nella preziosissima collana I millenni, ma lo sforzo economico è tutto ripagato. Sia per chi lo legge, sia per chi lo rilegge. La curatela di Dierna ridà ulteriore lucentezza narrativa a uno dei pesi massimi della letteratura europea del secolo scorso, valorizzando ancora di più la vena ironica e digressiva che accosta Haŝek a scrittori del calibro di Cervantes e Sterne.
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Passiamo ai gialli. Un nome su tutti: Giorgio Scerbanenco. Sellerio continua la pubblicazione dei suoi romanzi del periodo fascista, ormai sepolti da sessant’anni di oblio. La casa editrice che fu di donna Elvira, ha mandato quest’anno in libreria L’antro dei filosofi, quarta avventura del timidissimo archivista americano Arthur Jelling. Durante il ventennio, Scerbanenco è stato uno dei pochi autori nostrani a pubblicare noir  nella collana ad hoc edita da Mondadori e poi, quando è stata soppressa, nei “Romanzi della Palma”. Con un unico, invalicabile limite: ambientare le storie fuori dalla Penisola perché il regime non poteva tollerare sequestri e ammazzatine che portassero la firma di banditi e criminali italiani. Un divieto, che in questo libro Sellerio, diventa un vantaggio. Scerbanenco abbozza solo l’ambientazione; poi - penna alla mano - si concentra nello scavo dei personaggi. Il risultato? Un giallo profondo e tutto in prospettiva, in grado di incollarvi alla sedia per tutte le duecento e passa pagine.
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A proposito di fascismo: di saggi sul ventennio, ne escono a bizzeffe. Quello di Giovanni Sedita, Gli intellettuali di Mussolini, però è piuttosto singolare per due ragioni. Lo storico racconta il rapporto controverso e perverso tra gli intellos e il Duce, e in questo non fa altro che battere una strada già arata da molti altri. Per farlo, però (ed è qui che sta la novità) non usa doppiopesismi, come pure è capitato in passato. Piuttosto, si limita a elencare cifre e prebende di chi si è nutrito nella greppia dei gerarchi. Un quadro impietoso, con tanta storia e poco moralismo.
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Entriamo nella zona franca tra narrativa e saggistica. Nella top ten deve entrare senz’altro L’attesa è magnifica di Gregor von Rezzori. Un libro a metà tra un memoire e un saggio, firmato da uno degli intellettuali più sottovalutati degli ultimi anni. Rezzori ha la dote rara della “sprezzatura”, e in questo libro lo dimostra bene. Un condensato di giudizi e ricordi rimasti sempre in minoranza nell’Europa del secolo scorso, che sfugge alla griglia rigida delle solite classificazioni editoriali.
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In Germania è stato un caso editoriale. In Italia è stato accolto con curiosità, ma ha raggiunto solo in parte il pubblico di lettori che avrebbe invece potuto conquistare. Peccato. Un colpo di vento di Ferdinand von Schirach è un altro di quei libri che si vedono in giro raramente. Von Schirach, che di mestiere fa il penalista, ha raccontato undici casi in cui il crinale labile che separa un’esistenza decorosa da un assassinio efferato viene superato con una facilità inattesa. Un saggio scritto con la forza narrativa di un giallo e molto più credibile dei tanti noir che si sfornano ogni mese.
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Chi volesse leggere un vero noir, preferendo però virare oltreoceano, può invece indirizzarsi verso uno dei capofila dell’hard-boiled, da poco tradotto in Italia da Rizzoli. Si intitola Cieco con la pistola. A firmarlo Chester Himes, uno che già di suo – provate a leggere la biografia raccontata in appendice al volume – merita l’acquisto del libro. Cieco con la pistola è un noir corale, ambientato da una folla turbolenta di personaggi, che il suo autore muove in una Harlem gremita da “fighette” isteriche, suore di colore, mormoni centenari con assoluta facilità, e senza mai farle cadere in alcuna contraddizione.
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Gli ultimi due titoli di questo 2010 sono un Meridiano e una biografia. Partiamo dal primo. Meglio, dai primi due. A tanto ammontano i volumi che Mondadori ha deciso di dedicare ad Alberto Arbasino. Una scelta sacrosanta, che raccoglie tutto il meglio della produzione narrativa dello scrittore di Voghera: dalle Piccole vacanze fino a Specchio delle mie brame, passando per l’Anonimo lombardo e Fratelli d’Italia. Due volumi gustosi che alternano una folgorante chiacchera salottiera a satire esplosive della borghesia italiana.
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Last but not least, l’ultimo libro di Matteo Collura. Si intitola Il gioco delle parti e racconta “la vita straordinaria di Luigi Pirandello”. Una decina di anni fa, Collura aveva scritto la più bella biografia di Leonardo Sciascia (Il Maestro di Regalpetra). Dopo anni di studi e di ricerche ha deciso di bissare, dedicandosi stavolta al premio Nobel siciliano. Un saggio denso, documentatissimo, che unisce il rigore filologico a una straordinaria forza narrativa. Si legge come un romanzo, ma non è affatto un romanzo. Buona lettura.