In un mondo migliore, al cinema:
grazie Susanne Bier 

Simona.Santoni 
10.12.2010
È uno dei film più belli del 2010: intenso, emozionante, vita vera. In un mondo migliore (dal 10 dicembre nelle sale) è il lavoro cinematografico che consiglio di vedere a cuore pieno e spassionato, come se caldeggiassi qualcosa di caro e di mio.
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Ci sono storie che ti passano davanti, magari perfettamente narrate, ma che non toccano un capello e il giorno dopo quasi non ricordi di aver visto. Non è così per la pellicola di Susanne Bier, regista dalla mano potente e delicata venuta dalla fredda e “sconosciuta” Danimarca.
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In un mondo migliore ti attraversa l’anima, ti fa piangere, ti fa arrabbiare, ti fa chiedere. Davanti a prepotenze, piccole o enormi e inaccettabili che siano, bisogna rimanere lucidi e giusti o diventare vendicatori e violenti come i nostri aggressori?
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Nella vita quotidiana fatta di isterie, prevaricazioni, ingiustizie, è un dubbio quanto mai attuale. È il dubbio alla base di tante guerre. Qui, a due passi dal nostro naso, per strada, al parco, negli scontri cittadini quotidiani, nel tassista preso a pugni a un incrocio, come a miglia di distanza, in un’Africa lontana dove cozzano con la stessa mostruosità bene e male.
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“Susanne Bier indaga la nostra epoca con passione, forza visionaria e coraggio civile”, questa la motivazione che ha dato a In un mondo migliore il Gran Premio della Giuria al recente Festival del Film di Roma. Ma la potenza del film danese è la sua capacità di arrivare duro e diretto anche oltre i cineasti, i critici e gli addetti ai lavori, tanto da aver vinto anche il Marc’Aurelio del pubblico.
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Gli attori sono tutti di una bravura indimenticabile e le loro vicende sono le nostre: la solitudine, l’impotenza, un bisogno profondo di riconciliazione. Afferro e mantengo dentro di me lo sguardo imperscrutabile e mai aperto a una solarità del dodicenne Christian (William Jøhnk Nielsen), il sorriso imperfetto del tenero ed emarginato Elias (Markus Rygaard), la tenacia disperata di sua madre Marianne (Trine Dyrholm), la coerenza idealistica e dolorosa di suo marito Anton, medico in un campo di rifugiati africano (Mikael Persbrandt).
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Intanto la fotografia dalla luce diafana di Morten Søborg intaglia i visi, fissa le espressioni e, insieme alla sceneggiatura firmata Anders Thomas Jensen, contribuisce a regalare il film perfetto di questa fine anno. Il soggetto è della stessa Bier e dell’amico e stretto collaboratore Jensen. Con “Dopo il matrimonio” la regista danese era arrivata finalista agli Oscar 2007 per il Miglior film straniero. In un mondo migliore è ancora candidato per la Danimarca agli Oscar 2011.